Storia
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Dagli Etruschi ai 25 anni del Consorzio.

La storia di Bolgheri Doc

Storia antica e medievale

Sul territorio, soprattutto nella fascia collinare dato che per molti secoli la parte pianeggiante fu costituita da paludi, è attestata l’attività antropica già dal XII secolo a.C. L’area era infatti di influenza etrusca e la viticoltura è praticata da allora, ben prima dell’arrivo dei greci nell’Italia meridionale e della nascita di Roma.

Si tratta dunque di una delle prime aree in Europa in cui la pianta della vite è stata coltivata. La storia antica di Bolgheri segue le vicende della penisola italica, segnate dallo sviluppo prima e dal declino poi della civiltà romana.

Dopo il lungo periodo di conflitti che ha funestato l’Italia a seguito della caduta dell’Impero d’Occidente, l’Italia centrale ritrova una parvenza di stabilità sotto il controllo dei Longobardi tra il VI e l’VIII secolo.

L’area di Bolgheri, trovandosi sulla costa, era particolarmente soggetta a incursioni provenienti dal mare, per questo motivo, sotto il regno di Liutprando, si decise di far presidiare l’area a scopi difensivi.

Gli insediamenti del tempo infatti non solo sorgevano sulle colline per via delle condizioni malsane delle pianure, ma soprattutto per motivi strategici difensivi.

Fu proprio tra i primi Longobardi che si insediarono nella zona in questo periodo che nacque Walfredo, capostipite della Famiglia della Gherardesca, che da prima dell’anno mille al presente è stata coi suoi membri fondamentale nella storia dello sviluppo del territorio.

Storia moderna

Benché la storia di Bolgheri sia antica e l’insediamento e la costruzione di un forte, sui cui poi sarebbe sorto il Castello, risalgano all’Alto Medioevo, il territorio in cui oggi crescono la maggior parte dei vigneti e delle aziende non si sviluppò per diversi secoli, fino a quando, alla fine del 1600, i Conti della Gherardesca non decisero di provare a dare un nuovo impulso all’area, iniziando tra le altre cose a piantare i primi vigneti pianeggianti nelle zone di San Guido e di Belvedere.

Le attività agricole in generale iniziarono da questo momento a prendere piede e ai due luoghi già citati altri impianti furono realizzati nelle località di Grattamacco, Lamentano, Sant’Agata, Castellaccio, Casavecchia e Felciaino.

Sicuramente il personaggio che più di tutti contribuì allo sviluppo del territorio come un’area vocata alla viticoltura e all’agricoltura in generale fu Guidalberto della Gherardesca.

Guidalberto, oltre ad aver creato il famoso Viale dei Cipressi che congiunge Bolgheri a San Guido, ristrutturò i vigneti del tempo secondo le più aggiornate conoscenze agronomiche e ne piantò di nuovi, delineando la prima bozza di quella che sarebbe diventata la mappatura delle prime aziende vinicole di Bolgheri.

Tra questi nuovi impianti vale la pena citare quello della Capanne a Castiglioncello del 1816. Non a caso, proprio per la sua abilità mostrata anche in campo vitivinicolo egli fu nominato nel 1833 Bottigliere di Corte del Granduca di Toscana Leopoldo II.

Purtroppo, le innovazioni introdotte da Guidalberto furono bruscamente interrotte nella seconda metà del 1800 da malattie arrivate dall’America quali oidio, peronospora, ma soprattutto fillossera.
La viticoltura, che a Bolgheri aveva iniziato a fiorire con grandi prospettive da circa due secoli, si ritrovò quindi all’inizio del XX secolo a essere quasi tornata a un punto zero.

Storia contemporanea

Benché la viticoltura bolgherese, così come tutta quella europea, fosse stata pesantemente compromessa dalle malattie americane, l’impostazione agricola data Guidalberto rimase.

Vi erano da una parte le piccole vigne, derivanti dalla cultura mezzadrile legata all’autosufficienza; la vinificazione era rudimentale e dava vini di pronta beva che raramente superavano l’anno.
Gran parte di questi agricoltori arrivarono soprattutto a partire dagli anni ‘40 dalle Marche e si erano spostati a Bolgheri proprio per l’abbondanza di terreni incolti e la scarsità di mano d’opera.

Dall’altra parte si trovavano poche grandi vigne, facenti parte delle fattorie storiche del territorio. Conduzione diretta, con un certo grado di meccanizzazione, cantine più razionali, ma prodotti con analoghe caratteristiche.

A rivoluzionare la storia di Bolgheri fu il Marchese Mario Incisa della Rocchetta, piemontese da un lato e romano di discendenza Chigi dall’altro, che si trasferì in Toscana avendo sposato la Contessa Clarice della Gherardesca nel 1930.
Nello stesso anno, la sorella di Clarice, Carlotta, andò in sposa al Marchese Niccolò Antinori. Questi due nuclei famigliari si divisero quindi la più grande tenuta di Bolgheri.

In una zona dove i vini rossi che si producevano erano per lo più rustici, Mario Incisa volle provare a creare un nuovo tipo di vino, ispirato dal modello qualitativo dei vini francesi che era abituato a bere e apprezzare.
Egli prelevò dai Duchi Salviati, a Migliarino Pisano, delle marze di Cabernet (un clone italiano dunque) che impiantò nel 1942 e successivamente nel 1944 a Castiglioncello di Bolgheri, in una zona protetta dal vicino mare, al quale si attribuiva, erroneamente, la colpa della cattiva riuscita dei vini locali.

Gli abitanti del posto, abituati a bere a febbraio il vino della vendemmia precedente, non riuscivano a capire questo vino e gli esperimenti ritenuti stravaganti del Marchese.

Il vino del Marchese Mario rimase un fenomeno limitato al consumo della Famiglia e di pochi intimi amici fino alla fine degli anni ’60. Al tempo infatti il Marchese Piero Antinori (nipote del Marchese Mario e figlio di Niccolò Antinori) sottopose allo zio l’idea di iniziare a vendere quel vino.

La commercializzazione fu dunque affidata ai Marchesi Antinori, presso cui già lavorava un giovane enologo chiamato Giacomo Tachis, che iniziò da quel momento a collaborare con Mario Incisa nella fattura del vino.

Nel 1972 vide la luce il primo Sassicaia ufficiale, della vendemmia 1968. Già soli due anni dopo, Gino Veronelli si innamorò di quel vino e cominciò a farlo conoscere al mercato italiano. I successi non furono solo nazionali.
In una degustazione alla cieca di Decanter infatti il Sassicaia 1978 sbaragliò tutti gli altri Cabernet del mondo presenti, ma è con l’annata 1985 e i primi 100 punti assegnati da Robert Parker a un vino italiano che il mito si consacra.

Storia recente

Nel 1983 fu approvato il primo Disciplinare di tutela dei Vini Bolgheri. L’assemblea della Pubblica Audizione, pur fra qualche perplessità̀ e contrasto, approvò un testo di disciplinare di stampo abbastanza tradizionale.

Il 1983 è segnato però anche dalla morte del Marchese Mario, che lascia al figlio Nicolò, ma anche ai tanti produttori che a lui si ispireranno, le basi per continuare a scrivere una storia da lui iniziata.
La sua eredità al territorio trascende l’ambito vino e si estende a una visione moderna e armoniosa con l’ambiente.
Mario Incisa della Rocchetta fu infatti il primo Presidente del WWF italiano e creò il Rifugio Faunistico Padule di Bolgheri già nel 1959.

Sul mercato internazionale l’apparizione di vini da tavola ad una qualità spesso superiore a quella delle denominazioni famose del tempo, sconcertò non poco i commentatori stranieri, quelli anglosassoni in special modo.

Per la loro mentalità̀ pragmatica era inconcepibile che vini di alto pregio non godessero della copertura di una DOC; il fatto fu classificato come il solito pasticcio all’italiana e iniziò a prendere piede nel settore la definizione di Supertuscans, comprendente appunto le eccellenze viticole toscane, spesso contenenti uvaggi a base Cabernet e Merlot, che non erano protette da alcuna denominazione.
Grazie all’incontro col Marchese Mario infatti, Tachis mise a frutto le sue competenze per creare vini con la medesima filosofia anche in altre zone, prime tra tutte altre due iconiche etichette toscane quali Tignanello e Solaia prodotti nel Chianti Classico.

Dalla creazione della prima DOC Bolgheri si evidenziarono quindi due tendenze produttive sul territorio: i vini Bianchi e Rosati protetti dalla denominazione ed i vini da tavola comunemente indicati come Supertuscans.

A seguito di ciò dunque il territorio di Bolgheri non era conosciuto per la sua vocazione vinicola in quanto i vini più pregiati non avevano Bolgheri scritto in etichetta ed i vini a denominazione di origine, bianco e rosato non avevano caratteristiche tali da rendere riconoscibile e rinomato un territorio nel mondo.

Fino agli anni ’70 la storia dei vini rossi di stile bolgherese può essere ricondotta esclusivamente al Sassicaia, bisogna attendere il 1978 quando anche altri soggetti iniziano a percorre le orme tracciate dal Marchese Mario.

È curioso notare che tutte le persone che per prime furono ispirate dal Sassicaia non erano del posto (come lo stesso Marchese Mario del resto). Primo di questa lista è Piermario Meletti Cavallari, che si trasferisce a Castagneto da Bergamo nel 1977 e crea il Podere Grattamacco nell’omonima località. Michele Satta, da Varese, arriva appena dopo e dà in seguito vita ad una propria azienda dopo aver ampiamente lavorato sul territorio come fattore.
In una parte della tenuta Belvedere, il Marchese Lodovico Antinori crea Ornellaia, mentre il fratello maggiore Piero Tenuta Guado al Tasso. Unica persona nativa di Bolgheri in questo gruppo è Eugenio Campolmi, che fonda Le Macchiole.

Le aziende vinicole del tempo sul territorio non si esauriscono qui, tuttavia queste sono le prime ad avere sperimentato da subito il modello bolgherese, gettando dunque le basi per un movimento che a quel punto non coinvolgeva più un solo vino, ma piano piano un territorio.

L’aumento del numero di etichette accomunate da un’alta qualità e dall’impossibilità di ricevere una qualsiasi forma di tutela stigmatizzò ancora di più l’inadeguatezza del disciplinare del 1983. Bisogna però aspettare fino al 1994 prima della tanto attesa modifica con cui si riforma la DOC, rendendo ammissibili i vini rossi, che tra l’altro utilizzano in blend uve come Cabernet e Merlot.
Contestualmente viene inserita nel disciplinare anche la sottozona Bolgheri Sassicaia, che precisa tra le altre cose i limiti territoriali a ridosso dell’abitato di Bolgheri in cui poter produrre questo vino, ricadenti all’interno della Tenuta San Guido.

Pochi mesi dopo, nel gennaio 1995, viene fondato il Consorzio per la Tutela dei vini DOC Bolgheri. A rivestire il ruolo di Presidente, da allora sino al suo ritiro, è il Marchese Nicolò Incisa della Rocchetta.

Con queste nuove norme gran parte della produzione della zona viene ricondotta sotto l’ombrello protettivo della Denominazione di Origine, lasciando al di fuori solo quei vini realizzati con un solo vitigno, al tempo per la verità non molti ancorché noti (due merlot, Masseto e Messorio di Ornellaia e Macchiole rispettivamente).

Da questo momento la situazione del vigneto Bolgheri, stabilizzata su circa 190 ettari in produzione, inizia a vedere una grossa impennata, arrivando in poco più di 10 anni a 1.000 ettari.

Questo aumento è dovuto a due fenomeni paralleli: il primo è l’interesse crescente di importanti imprenditori di vino e non che investono sul territorio credendo nelle potenzialità del modello Bolgheri, il secondo è la consapevolezza da parte delle aziende agricole bolgheresi che con sempre maggiore frequenza iniziano a praticare la coltivazione della vite, spesso a discapito di coltivazioni fortemente radicate sul territorio di frutta e ortaggi, oppure ad utilizzare un approccio diverso alla viticoltura rispetto a quello finora adottato.

Nel 2011, al fine di non inflazionare il successo crescente della zona, le quote DOC vengono bloccate e il disciplinare è soggetto a un ulteriore aggiornamento volto a includere i vini prodotti con le tre uve principali (Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc), che possono dunque essere utilizzate anche come monovarietali.

Nel 2013, dopo 18 anni alla guida del Consorzio, il Marchese Nicolò Incisa decide di rinunciare a questo incarico. La Presidenza viene assunta da Federico Zileri Dal Verme, anch’egli discendente per via materna, come il Marchese, di quella Famiglia della Gherardesca che per secoli ha protetto e guidato il territorio.

Alle fine di quest’anno si assiste alla più recente modifica del disciplinare, ovvero lo scorporo della sottozona Bolgheri Sassicaia e la creazione di una omonima DOC indipendente, sempre tutelata dal Consorzio. Nell’ottobre 2019 è eletta quale terzo presidente nella storia del Consorzio Albiera Antinori.

Ad oggi quei 7 Soci sono diventati 60, gli ettari da 190 passati a 1.110 circa a DOC e il numero di etichette e riconoscimenti ai vini bolgheresi è aumentato di pari passo. La sfida per il futuro è preservare e salvaguardare lo straordinario lavoro che i produttori hanno svolto sinora, mantenendo vivo quello spirito di unità, cooperazione e amore e rispetto per il territorio che li ha animati sin dall’inizio.

Il viale

“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti,
Mi balzarono incontro e mi guardar.”


Così inizia l’ode Davanti a San Guido, pubblicata nelle Rime Nuove dal poeta e scrittore Giosuè Carducci, primo autore italiano a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1906.
Al piccolo borgo medievale di Bolgheri si arriva attraverso il famoso Viale dei Cipressi. La strada, classificata come strada provinciale 16d, è lunga quasi cinque chilometri e collega l’oratorio di San Guido, che sorge lungo la via Aurelia, allo scenografico centro storico di Bolgheri dominato dalla mole del Castello.

Guidalberto della Gherardesca, vissuto agli inizi dell’800, è celebre tra le altre cose per avere piantato il famoso viale di cipressi, oggi monumento nazionale. Fu anche pioniere di un’agricoltura moderna nella zona e per le sue iniziative nel campo vitivinicolo, già all’avanguardia per l’epoca, attuò anche numerose opere di bonifica.

Attualmente il Viale dei Cipressi misura 4.962 m. e il totale dei cipressi ammonta a 2540. La sua storia è davvero particolare. Nel 1841 fu completata la ricostruzione della via Pisana o Regia che arrivava fino a Grosseto.

Per collegarla con i Paesi e con i borghi interni vennero costruite strade perpendicolari alla Pisana: una di queste fu lo stradone di San Guido. Prevedendo che la sua manutenzione venisse poi affidata alla comunità di Castagneto già era stata da tempo restaurata con una massicciata nuova e perfino dotata di fossette laterali.

Il Conte Guidalberto pensò di abbellire sia la via Pisana sia lo stradone di San Guido con piante particolarmente adatte a luoghi paludosi: la scelta cadde sugli “alberi Cipressini” (che non erano cipressi, bensì pioppi a forma di cipressi).
Purtroppo, i bufali trovavano molto gustose quelle pianticelle tenere, situate sulla via Pisana e sul primo tratto del viale di San Guido.
Soltanto quando si decise di confinare nel sotto strada i bufali bradi, gli “alberi cipressini” poterono crescere.

Nel tratto del Viale che arriva fino al casone di San Guido si piantarono dei veri cipressi che non venivano mangiati dai bufali. Il risultato fu buono (anche se il cipresso predilige terreni collinari asciutti) e ciò incoraggiò a proseguire nella messa a dimora: così nacque “Il Viale dei Cipressi”.
I primi cipressi vennero trasportati con una piccola nave fino a San Vincenzo; in seguito furono portati a San Guido con i barocci. Successivamente i cipressi giunsero anche da Firenze, Pisa, Ripafratta e si pensò anche ad allestire appositi vivai.

Nel tempo in cui Carducci abitò a Bolgheri (1838-1848), nonostante quanto affermato nella poesia “Davanti a San Guido” circa i cipressi che “Da Bolgheri alti e schietti van da San Guido in duplice filar”, il tratto da San Guido alle Capanne non era ancora stato ultimato.

Fu soltanto dopo la fama riscossa da questa poesia che il Conte Ugolino della Gherardesca fu spinto a sostituire i maestosi olivi secolari che fiancheggiavano il tratto tra le Capanne e Bolgheri con i “Maricoccoli”, creando il viale di Bolgheri così come l’aveva immaginato il Carducci nei suoi versi.